
Ancora una volta l’Italia si sveglia sotto l’acqua, e ancora una volta il conto da pagare lo presenta la natura, aggravata dall’incuria umana. L’alluvione che ha colpito Finale Ligure il 21 maggio 2025 non è solo l’ennesimo evento eccezionale: è la conferma di una fragilità strutturale che il Paese continua a sottovalutare.
Frane, smottamenti, torrenti esondati, paesi isolati: il bilancio parla di danni per centinaia di milioni, centinaia di sfollati e un territorio nuovamente ferito. Ma ciò che dovrebbe fare più rumore, più della pioggia battente, è il silenzio delle risposte strutturali.
Impossibile non tornare con la memoria all’Emilia-Romagna, piegata per due anni consecutivi da eventi alluvionali devastanti. Nel maggio 2023, la regione è stata travolta da un’alluvione senza precedenti: 23 fiumi esondati, oltre 540 km² sommersi dall’acqua e più di 80.000 frane hanno messo in ginocchio il territorio. Il bilancio è stato drammatico: 17 vittime, 37.000 sfollati e danni stimati in 8,5 miliardi di euro, che hanno colpito duramente abitazioni, infrastrutture, imprese e campi agricoli.
Nel 2024, il maltempo ha nuovamente colpito l’Emilia-Romagna, aggravando una ferita ancora aperta.
Queste catastrofi confermano l’urgenza di interventi strutturali, piani di messa in sicurezza del territorio e una nuova cultura urbanistica, capace di coniugare sviluppo e resilienza ambientale.
Il dato è noto e allarmante: oltre il 94% dei comuni italiani è esposto a rischio idrogeologico. Più di 7 milioni di cittadini vivono in aree ad alta pericolosità. Non si tratta più di emergenze, ma di una nuova normalità climatica. Una crisi annunciata, e ormai ciclica.
In Liguria, le piogge torrenziali di maggio hanno colpito zone già vulnerabili, provocando l’esondazione di torrenti e crolli di infrastrutture. Una regione morfologicamente fragile, ma densamente abitata e urbanizzata, dove l’abusivismo edilizio e la mancanza di manutenzione ai corsi d’acqua amplificano gli effetti del maltempo.
Negli ultimi anni si è parlato molto di prevenzione, ma troppo poco si è fatto in termini di consolidamenti strutturali: argini, canali scolmatori, vasche di laminazione, riforestazione e manutenzione del reticolo idrografico minore. I fondi ci sono — almeno in parte — ma mancano spesso progetti esecutivi, autorizzazioni rapide, e soprattutto una regia unica.
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, approvato a inizio anno, rappresenta un passo importante, ma non basta se resta chiuso nei cassetti dei ministeri.
È tempo di rilanciare un grande piano nazionale come fu “Italia Sicura”, con investimenti pluriennali e controlli serrati sui tempi e sulla qualità dei lavori. La messa in sicurezza del territorio deve diventare priorità politica, economica e civile.
Ogni euro speso in prevenzione ne risparmia almeno 4 in emergenze e ricostruzioni.
Non possiamo più parlare di disastri “naturali”. In un Paese che costruisce sui versanti, cementifica gli alvei e non investe in manutenzione, gli eventi estremi sono solo l’ultimo anello di una catena di responsabilità.
È tempo di agire. Con visione, con urgenza, con rispetto per un territorio che non perdona l’indifferenza.
Non chiamiamole calamità, ma conseguenze.
Alessandro Del Fiesco
Presidente AsNALI Nazionale
