
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha approvato le modifiche al meccanismo “Energy Release 2.0”, uno strumento pensato per sostenere le imprese energivore e al tempo stesso accelerare la costruzione di nuovi impianti da fonti rinnovabili. La misura, recentemente validata anche dalla Commissione Europea, rappresenta un passaggio cruciale nella strategia italiana per conciliare competitività industriale e decarbonizzazione.
Il cuore del meccanismo è semplice: il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) fornisce energia elettrica a prezzo calmierato, circa 65 €/MWh, a grandi consumatori industriali. In cambio, le imprese beneficiarie si impegnano a costruire nuova capacità di produzione da fonti rinnovabili — fotovoltaiche, eoliche o idroelettriche — restituendo così nel tempo l’energia ricevuta. In questo modo, lo Stato offre un sostegno immediato alle imprese colpite dai costi energetici elevati, ma ne indirizza l’impegno verso investimenti che aumentano la produzione verde nazionale.
Le modifiche introdotte dal decreto nascono da un’esigenza duplice. Da un lato, l’Italia doveva adeguare il meccanismo ai criteri di trasparenza e concorrenza richiesti dall’Unione Europea, che ha dato il via libera solo dopo l’introduzione di procedure competitive e garanzie contro possibili eccessi di remunerazione. Dall’altro, il governo ha voluto rendere l’iniziativa più efficace e operativa, superando alcune criticità emerse nella prima versione, come la scarsa chiarezza sulle garanzie richieste e i tempi troppo stretti per la realizzazione degli impianti.
Il nuovo Energy Release 2.0 introduce quindi un sistema d’asta gestito dal GSE: i soggetti interessati, tra cui non solo le imprese energivore ma anche produttori, aggregatori o operatori terzi, potranno partecipare a gare pubbliche per aggiudicarsi i contratti di fornitura e impegnarsi a costruire gli impianti rinnovabili associati. Si tratta di un cambiamento che amplia la platea dei potenziali attori coinvolti e, al tempo stesso, garantisce una selezione più trasparente e competitiva dei progetti.
Un altro elemento importante è l’introduzione di una clausola che evita la cosiddetta “sovra-remunerazione” dell’investimento: se, alla scadenza del contratto — previsto generalmente su orizzonti di 15-20 anni — l’impianto dovesse generare un vantaggio economico superiore a quello stimato, il meccanismo prevede un riequilibrio per evitare profitti eccessivi. In questo modo, si garantisce che l’aiuto pubblico resti proporzionato e coerente con le finalità del programma.
Dal punto di vista industriale, l’impatto potenziale è notevole. Secondo alcune stime, la misura potrebbe portare alla realizzazione di circa 5 GW di nuova capacità da fonti rinnovabili nei prossimi anni. Un risultato che contribuirebbe in modo significativo al raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali e alla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili. Allo stesso tempo, le imprese energivore potranno beneficiare di una maggiore stabilità nei costi energetici, migliorando la loro competitività internazionale.
Tuttavia, non mancano le sfide. La riuscita dell’Energy Release 2.0 dipenderà dalla rapidità delle procedure autorizzative, dalla bancabilità dei progetti e dalla capacità del sistema elettrico di accogliere la nuova produzione. Inoltre, la partecipazione di soggetti terzi nella realizzazione degli impianti apre opportunità ma anche complessità contrattuali, che dovranno essere gestite con attenzione per evitare ritardi o contenziosi.
Nonostante queste incognite, l’evoluzione del meccanismo segna un passo in avanti verso una politica energetica più integrata e lungimirante. Con l’Energy Release 2.0, l’Italia tenta di coniugare la sicurezza economica delle proprie industrie con la necessità, ormai improrogabile, di spingere sulla transizione ecologica. È una sfida ambiziosa, ma anche una delle più significative del percorso verso un’economia a basse emissioni e più resiliente agli shock energetici globali.
