Mentre il ministro del Lavoro e le parti sociali si danno appuntamento al 6 aprile per discutere del protocollo sulla sicurezza che consentirà di fare le vaccinazioni sui luoghi di lavoro, arrivano nelle aule di tribunale le prime controversie tra datori di lavoro e dipendenti che si rifiutano di farsi vaccinare.

A dare il via a quella che si prospetta essere una lunga serie di provvedimenti, è stato il Tribunale di Belluno con l’ordinanza n. 12 del 19.03.2021 che afferma la legittimità di imporre ferie al personale sanitario che si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione anti-COVID.

Nel caso in esame i lavoratori, tutti appartenenti al personale sanitario, hanno presentato un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., contro il datore di lavoro che, a seguito del loro rifiuto di sottoporsi al vaccino anti-COVID, li aveva posti in ferie.

In via preliminare, il Giudice ha rilevato che il datore, ai sensi dell’art. 2087 c.c., deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti, incluso il vaccino anti-COVID, essendo ormai nota l’efficacia dello stesso nell’impedire l’evoluzione della patologia, dimostrata anche dal drastico calo di decessi fra le categorie che ne hanno potuto usufruire.

Misura che risulta ancor più necessaria se si considerano le mansioni ricoperte dai ricorrenti che impongono un contatto continuo con altre persone ed espongono gli stessi ad un elevato rischio di essere contagiati e di contagiare.

Su tali presupposti, pertanto, il Tribunale di Belluno ha respinto il ricorso, affermando la legittimità della condotta datoriale senza prendere tuttavia posizione su quello che potrebbe accadere se la situazione sottoposta alla sua attenzione (pericolo di contagio e rifiuto del vaccino) dovesse durare oltre l’esaurimento delle ferie spettanti al lavoratore. Resta il fatto che, secondo il giudice, il datore di lavoro non può consentire l’accesso del dipendente renitente al vaccino in un luogo di lavoro dove questi sarebbe esposto al contagio.

La collocazione forzata in ferie quindi, può essere una soluzione temporanea, ma prima o poi, se il pericolo di contagio persiste e il lavoratore non cambia idea sul vaccino, il nodo della retribuzione per il dipendente sospeso e della sua eventuale licenziabilità a lungo andare, inevitabilmente, verrà al pettine.

Con l’arrivo dei vaccini nascono le prime controversie tra renitenti e datori di lavoro

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