L’Italia ed altri Paesi appartenenti all’UE chiedono l’imposizione di un tetto alle quotazioni del gas naturale per arginare l’impennata dei prezzi iniziata a fine 2021 ed ulteriormente aggravata dal conflitto tra Russia e Ucraina.

Alla richiesta di un limite massimo al prezzo del gas fanno tuttavia seguito le resistenze dei Paesi Bassi e della stessa Commissione europea che vedono nel “price cap” il primo vero passo indietro rispetto alla strategia di liberalizzazione del mercato dell’energia portato avanti con determinazione negli ultimi vent’anni e comporterebbe un ridimensionamento delle prospettive del mercato energetico-finanziario.

Il mercato dell’energia in Europa, infatti, è caratterizzato dalla libera concorrenza, secondo la convinzione che questa favorisca il livellamento dei prezzi verso il basso, a vantaggio di imprese e famiglie. Applicato al gas naturale, questa visione ha portato alla creazione di diversi attori che si scambiano la materia prima, chi per venderla ai clienti finali (cioè le imprese e le famiglie) e chi per fare trading, cioè sfruttare i movimenti del mercato per guadagnarci.

Questo approccio ha di fatto scoraggiato accordi a lungo termine, secondo la logica che contratti di fornitura di breve durata avrebbero consentito l’autoregolazione del mercato.

Tuttavia, se fino ad ora questa visione ha consentito notevoli risparmi, nel solo 2021, la crescita incontrollata delle quotazioni del gas ha portato a una maggiore spesa di 30 miliardi di euro. Nel terzo trimestre, infatti, il gas comprato sugli hub è stato pagato in media 95 euro per MWh, un prezzo più di quattro volte superiore a quello delle più convenienti importazioni con contratti a lungo termine, che per l’Italia oscillavano tra i 17,70 e i 19,95 euro per MWh per le forniture da Russia, Algeria e Nordeuropa.

L’hub Olandese Title Transfer Facility (TTF), punto di riferimento europeo per il prezzo del gas, ha effettuato scambi di gas per 53mila TWh di elettricità, ma Il 68% di questi ha riguardato contratti future, segno di una predominanza di operazioni puramente finanziarie rispetto a quelle per l’effettivo acquisto fisico di gas.

Queste strategie speculative hanno intensificato le tendenze al rialzo e al ribasso con lo scopo di far salire i prezzi prima della chiusura del 2021 provocando la corsa del prezzo del TTF a dicembre.

Dal momento che il mercato appartiene alla InterContinental Exchange (ICE), una società finanziaria statunitense nata nel 2000 che opera in mercati basati su Internet che commercia in futures ed energia, commodity e prodotti finanziari, è facile comprendere come il numero di scambi elevato e le operazioni speculative siano incoraggiati.

Un mercato così volatile, d’altronde, non è uno strumento affidabile per determinare il prezzo finale di una materia prima essenziale come il gas e la proposta di molti Paesi, tra cui l’Italia, consiste proprio nel tentativo limitare le variazioni delle quotazioni, imponendo un tetto al prezzo e provando ad evitare operazioni speculative.

Riconoscere il price cap, però, significherebbe per ICE ammettere che il business del trading delle materie prime è orami diventato un problema.

Crisi energetica, occorre un price cap per gli scambi del gas
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