Dopo otto tornate negoziali, Parlamento UE e Consiglio hanno raggiunto un accordo provvisorio sul progetto di direttiva presentato nel 2020 dalla Commissione per assicurare salari adeguati e dignitosi ai lavoratori dipendenti europei.

La trattativa mirava a trovare un accordo tra due diversi approcci:

  • da una parte il mandato approvato dalla plenaria del Parlamento UE il 25 novembre scorso, diretto ad estendere la copertura della contrattazione collettiva in particolare nei Paesi UE che hanno meno dell’80% dei lavoratori coperti da questi accordi;
  • dall’altra la posizione votata il 6 dicembre dal Consiglio, che era propenso a intervenire solo a fronte di una copertura della contrattazione collettiva inferiore al 70%.

L’accordo raggiunto il 7 giugno, dopo una lunga notte di confronto, fissa l’asticella all’80%, come chiesto dal PE. Nella stessa giornata è previsto il voto del Coreper, il comitato che riunisce i rappresentanti permanenti dei 27, cui seguiranno l’approvazione definitiva da parte di Parlamento e Consiglio. A quel punto gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepire la direttiva salario minimo nei rispettivi ordinamenti nazionali.

Ipotizzata da anni e sempre rimandata, la direttiva per il rafforzamento dei regimi di salario minimo dovrebbe assicurare un reddito dignitoso a tutti gli europei senza interferire con le competenze e le tradizioni nazionali degli Stati membri e con la libertà delle parti sociali. La proposta presentata nell’ottobre 2020 dalla Commissione europea rappresenta una risposta all’impatto della crisi del Covid-19, particolarmente duro per i lavoratori a basso salario, come gli addetti alle pulizie e alle vendite al dettaglio, gli operatori sanitari e quelli impegnati nell’assistenza residenziale e a lungo termine, ma mira anche a gettare le basi per una ripresa economica sostenibile e inclusiva.

Se fissati a livelli adeguati, secondo l’Esecutivo UE, i salari minimi non solo hanno un impatto sociale positivo, ma apportano anche benefici più ampi all’intera economia, perché riducono la disuguaglianza salariale, aiutano a sostenere la domanda interna, contribuiscono a ridurre il divario retributivo di genere e, proteggendo i datori di lavoro che pagano salari dignitosi ai lavoratori, garantiscono una concorrenza leale tra le imprese.

La direttiva presentata da Bruxelles rispetta i diversi approcci alla materia presenti negli Stati membri, l’autonomia delle parti sociali e la libertà della contrattazione collettiva e si propone come un quadro di riferimento per fare in modo che i livelli minimi di retribuzione dei lavoratori siano proporzionati, applicati correttamente, aggiornati nel tempo e monitorati.

Nei fatti non si impone l’istituzione di un salario minimo nei paesi che non lo prevedono, ma ci si limita a promuovere l’adeguatezza e il rispetto dei regimi di salario minimo dove sono già presenti e a spingere gli Stati membri che non li prevedono – sei paesi, tra cui l’Italia, dove circa l’80% dei lavoratori è coperto dalla contrattazione collettiva – ad assicurare l’applicazione delle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi.

Trattandosi di una direttiva, e non di una semplice raccomandazione, però, una volta approvata dal Parlamento UE e dal Consiglio, la normativa deve essere obbligatoriamente recepita negli ordinamenti nazionali entro due anni. In questo modo, anche senza intervenire sul livello dei salari, di fatto dovrebbe spingere tutti i paesi UE verso una maggiore protezione del reddito dei lavoratori.

In particolare, la proposta di direttiva prova a migliorare le condizioni salariali nell’Unione in tre modi.

Anzitutto, nei 21 paesi che prevedono salari minimi legali, si punta a favorirne l’adeguatezza mediante la definizione di procedure e criteri stabili e chiari per determinarli e aggiornarli e un maggiore coinvolgimento delle parti sociali per la loro definizione. Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno convenuto che gli aggiornamenti dei salari minimi legali avverranno almeno ogni due anni (o al massimo ogni quattro anni per quei paesi che utilizzano un meccanismo di indicizzazione automatica).

Negli altri paesi, invece, si mira a promuovere maggiormente la contrattazione collettiva. In base all’accordo provvisorio tra le istituzioni UE, laddove il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore alla soglia dell’80%, gli Stati membri dovrebbero definire un piano d’azione per aumentarlo progressivamente.

Infine, Parlamento e Consiglio hanno concordato una serie di misure per migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla protezione del salario minimo, tra cui controlli da parte degli ispettorati del lavoro, informazioni facilmente accessibili sulla protezione del salario minimo, lo sviluppo della capacità delle autorità preposte di perseguire i datori di lavoro non conformi e un’attività di monitoraggio in tutti gli Stati membri.

Salario minimo: via libera all’accordo sulla direttiva
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