Secondo la rilevazione mensile effettuata da NielsenIQ, a giugno l’inflazione della distribuzione moderna è cresciuta del 12,7% su base annuale, un valore inferiore rispetto al recente massimo del 16% fatto registrare a febbraio ma comunque il doppio rispetto al dato nazionale che, secondo le rilevazioni Istat, si è attestato al 6,4%.

Per fronteggiare questi rincari i clienti dei supermercati hanno comprato di meno – i volumi sono scesi del 2,3% – e hanno optato per prodotti meno cari rispetto a quelli che compravano in precedenza, riducendo in tal modo all’11,5% l’inflazione “percepita”. Si spiega così il successo dei prodotti a marchio del distributore (Mdd), che puntano tutto sul rapporto fra qualità e prezzo. A giugno la loro quota di mercato è stata del 31,5%, quasi un punto percentuale in più rispetto a dodici mesi prima (era al 30,8% nel giugno 2022).

Oltre a scegliere con maggiore attenzione i prodotti che vengono messi nel carrello, gli italiani hanno adottato un’altra strategia per contenere la spesa alimentare ovvero si recano con maggiore frequenza nei punti vendita. Questo consente loro di comprare minori quantità, riducendo così il rischio di dover buttare via qualcosa. Nel primo trimestre di quest’anno la frequenza di acquisto è cresciuta del 4%, mentre il volume del singolo acquisto è diminuito del 9,2%.

Da ultimo i consumatori continua a recarsi nei discount, che fanno dei prezzi bassi la loro caratteristica distintiva. A giugno le loro vendite hanno mostrato un balzo dell’11,1% su base annuale, contro il più 7,5% dei supermercati e il più 6,1% dei negozi di prossimità, il cosiddetto libero servizio.

Dal momento che la spesa alimentare non è più di tanto comprimibile, gli effetti dell’inflazione possono essere osservati anche nei dati relativi alle finanze personali. Gli italiani sono andati ad intaccare i propri risparmi per far fronte alle spese (oppure si sono visti costretti a ridurre la quota di reddito destinato al risparmio). Ovviamente non solo le spese alimentari, ma anche quelle relative ad altre importanti voci del bilancio familiare, come per esempio le bollette. Oltre la metà delle famiglie (55,5%) ha eroso i propri risparmi nel corso del 2022. Il 36% ha invece conservato lo stesso livello di risparmio rispetto all’anno precedente, mentre meno di una famiglia su dieci (8,5%) è riuscita ad aumentarlo.

Oltre a ciò, quasi la metà delle famiglie (48,5%) teme di vedere i propri risparmi diminuire rispetto al 2022, mentre il 20,4% prevede un’ulteriore diminuzione dei consumi. Questa situazione ha ripercussioni anche sugli operatori della distribuzione moderna che, a dispetto dei fatturati in crescita, vedono la loro redditività assottigliarsi. A loro volta, infatti, devono fare i conti con costi in crescita, soprattutto sul fronte delle forniture. E il calo dei volumi, per ora più che compensato dall’aumento dei prezzi, non rappresenta un buon viatico per il futuro.

L’adeguamento dei listini della Gdo ha consentito di assorbire una parte dei maggiori costi trasferendoli al consumatore ma soltanto la metà degli operatori sarebbero in grado di assorbire gli aumenti dei costi operativi senza portare in negativo la marginalità.

Per quel che riguarda il 2023, nonostante questo si sia aperto con segnali di raffreddamento circa l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, l’inflazione, sebbene in decelerazione rispetto a quella del 2022, si mantiene ancora alta.  Pertanto, a preoccupare i retailer sono soprattutto i consumi, poiché un’inflazione sostenuta finirebbe con il compromettere la tenuta della domanda e con essa i risultati economici delle imprese distributive.

L’inflazione preoccupa consumatori e retailer
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