Sembrava si potesse evitare lo scontro. Solo poche settimane fa si parlava di una trattativa ragionevole, con dazi limitati al 10%, uno scenario che — pur non auspicabile — lasciava intravedere una via diplomatica. Poi, puntuale come ogni colpo di scena in una campagna elettorale americana, arriva l’annuncio su Truth Social, il social personale di Donald Trump: “30% di dazi anche all’Europa, dal primo agosto”. Senza mediazioni, senza preavviso, senza tatto.

Quella che dovrebbe essere una complessa trattativa commerciale tra alleati viene ridotta a una minaccia lanciata online. È la diplomazia del tweet (o meglio, del “truth”) che ritorna. Una diplomazia che si nutre di provocazioni, non di accordi.

Eppure, qualcuno ancora si stupisce. Io no: Trump non parla agli europei, parla ai suoi elettori — ed è disposto a bruciare ponti per accendere i consensi.

Bruxelles, intanto, prepara la sua risposta. Non è impreparata — questo va riconosciuto — ma è ancora divisa. I due pacchetti di controdazi sono pronti: da una parte i beni simbolo delle roccaforti repubblicane (Harley-Davidson, jeans Levi’s, burro d’arachidi), dall’altra una stretta su acciaio, macchinari, fast-food e cosmetici.

Una strategia già vista nel 2018, ma che oggi suona quasi datata, mentre la guerra commerciale prende nuove forme, fatte di regole digitali, intelligenza artificiale, ambiente e algoritmi. L’Ue sta anche valutando l’attivazione del “bazooka anti coercizione”, una leva potente ma politicamente esplosiva. Escludere aziende Usa dagli appalti pubblici o limitarne l’accesso al sistema finanziario europeo sarebbe uno shock geopolitico, non solo economico.

E qui arriviamo al vero nodo. L’Europa ha gli strumenti, ma non sempre ha il coraggio. Il rischio è di apparire forte nei documenti, ma debole nelle azioni.

Con Macron che spinge per una linea dura e Meloni che temporeggia, il blocco europeo mostra ancora una volta la sua fragilità strutturale: una superpotenza economica senza una vera voce politica.

Il governo italiano è in una posizione scomoda, quasi da equilibrista. Giorgia Meloni, pur ribadendo la lealtà all’Unione Europea, non perde occasione per mantenere il profilo basso nei confronti di Washington.

Le opposizioni non si fanno attendere: Schlein parla di “follia autarchica” e Conte definisce la trattativa “da dilettanti”. Il ministro Urso chiede sangue freddo, mentre Tremonti lancia l’idea — tutt’altro che peregrina — di usare la fiscalità sul web come leva negoziale. 

I numeri non mentono. Si stima un impatto negativo sui consumi italiani di 12 miliardi di euro in soli due anni. Il turismo americano, che da solo muove decine di milioni di euro, è già in calo: 193mila presenze in meno solo a giugno. Non è un dettaglio, è un segnale. Ogni volta che Trump alza la voce, un imprenditore europeo perde quote di mercato.

Il mondo produttivo guarda con crescente preoccupazione a quello che si sta configurando come uno scontro tra ideologie economiche: protezionismo trumpiano contro multilateralismo europeo. Ma siamo sicuri che l’Europa sia ancora convinta di questo multilateralismo? E soprattutto, siamo sicuri che riesca a difenderlo?

Non si tratta solo di dazi. Questo confronto è un banco di prova per la capacità dell’Europa di difendere i propri interessi senza dover chiedere il permesso. Autonomia strategica non è uno slogan: è la possibilità di dire “no” senza temere ritorsioni, di proteggere i propri campioni industriali, di negoziare da pari a pari.

Se l’Europa non reagisce oggi, non reagirà mai più. E allora sì, il rischio è che ogni ‘truth’ americana diventi una verità imposta.

Il 1° agosto si avvicina e con esso una possibile crisi commerciale di proporzioni notevoli. Il tempo per il dialogo non è finito, ma si restringe ogni giorno. Serve compattezza politica, serve coraggio strategico, serve una leadership europea capace di trattare, ma anche di rispondere colpo su colpo.

La politica economica non è una teoria astratta. È una partita a scacchi in cui non puoi permetterti di muovere sempre dopo l’avversario. La domanda è: l’Europa ha ancora la forza di essere protagonista o si accontenta di restare reattiva, mai assertiva?

                                                                                                      Alessandro Del Fiesco

                                                                                                Presidente AsNALI Nazionale

Trump e i dazi all’Europa: il ritorno del nazionalismo economico e la fragilità della risposta europea
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