
Con l’approvazione definitiva al Senato, l’Italia diventa il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sull’intelligenza artificiale. Un primato non da poco, che mette il nostro Paese al centro di una sfida cruciale: governare una tecnologia che sta già cambiando il lavoro, l’economia e la società.
Il nuovo testo normativo nasce in parallelo all’AI Act europeo, entrato in vigore nel 2024, ma sceglie una strada peculiare: non solo recepisce le regole comunitarie, ma le completa con principi, strumenti e incentivi specificamente pensati per il contesto italiano.
Il cuore della legge sta nei principi: l’IA dovrà sempre restare al servizio dell’uomo, garantendo trasparenza, tracciabilità e responsabilità. Non decisioni cieche prese da algoritmi, ma strumenti capaci di assistere senza sostituire l’intelligenza umana.
Questa impostazione è particolarmente rilevante in settori delicati come la sanità, la giustizia o la pubblica amministrazione, dove il rischio di abusi o discriminazioni non è teorico ma concreto. La norma chiarisce che il controllo finale deve restare nelle mani delle persone, mentre i sistemi dovranno rispettare standard di sicurezza e non discriminazione.
Per far sì che queste regole non restino lettera morta, il legislatore ha previsto un sistema di governance articolato. Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e AgID avranno compiti complementari: la prima vigilerà sulla sicurezza dei sistemi, la seconda si occuperà di notifiche e standard. A coordinare il tutto, la Presidenza del Consiglio, che dovrà garantire coerenza e visione strategica.
Ogni due anni sarà aggiornata la Strategia nazionale per l’IA, mentre al Parlamento arriveranno report periodici sull’attuazione. Un tentativo, insomma, di non limitarsi a fissare norme statiche, ma di accompagnare il processo con monitoraggio e correzioni di rotta.
Il capitolo che più interessa il mondo economico riguarda gli incentivi. La legge stanzia fino a 1 miliardo di euro a favore di startup e PMI innovative che operano nell’intelligenza artificiale e in settori correlati come cybersicurezza, calcolo quantistico, 5G o edge computing.
Un segnale forte, che arriva in un momento in cui molte piccole imprese guardano all’IA con curiosità ma anche con timore: le tecnologie sono costose, i rischi di compliance alti, le competenze spesso scarse. Il sostegno pubblico potrebbe aiutare a ridurre il divario tra le grandi aziende, già attrezzate, e il tessuto di PMI che rappresenta l’ossatura dell’economia italiana.
Non solo fondi: la legge estende anche gli incentivi fiscali del regime impatriati a ricercatori e professionisti dell’IA che scelgono di trasferirsi in Italia. Un modo per attrarre talenti e contrastare la fuga di cervelli.
Per le aziende si apre dunque una stagione ricca di opportunità, ma non priva di sfide. Da un lato, ci sono risorse economiche, incentivi fiscali e nuove possibilità di mercato. Dall’altro, cresce il peso della compliance normativa: sistemi di IA tracciabili, dataset trasparenti, audit periodici. Un impegno che richiederà tempo, risorse e soprattutto competenze.
Molte PMI rischiano di trovarsi spiazzate: non tutte hanno personale formato o infrastrutture tecnologiche adeguate. Qui la partita si gioca anche sulla capacità del sistema Paese di fare formazione diffusa, sostenere la transizione digitale e garantire che le regole non si trasformino in un freno alla competitività.
L’Italia con questa legge si candida a essere non soltanto “follower” dell’Europa, ma protagonista. Anticipa questioni ancora in evoluzione a Bruxelles, come i deepfake o la tutela del copyright delle opere generate con AI, e mette al centro valori costituzionali come dignità, non discriminazione e responsabilità penale.
Si tratta di un approccio che potrebbe rafforzare la reputazione del Paese, attirare investimenti e dare fiducia a cittadini e imprese. Ma, come sottolineano diversi osservatori, le sfide non mancano: il miliardo stanziato, pur significativo, potrebbe rivelarsi insufficiente; i decreti attuativi richiederanno tempo; la collaborazione tra agenzie ed enti non è scontata.
La verità è che la legge sull’IA non parla solo di algoritmi e macchine: parla di noi. Della capacità di costruire un futuro in cui la tecnologia sia un alleato e non un padrone, in cui la competitività economica si concili con i diritti fondamentali, in cui il sapere e l’innovazione non restino privilegio di pochi.
Perché ciò accada, servirà molto più di un testo approvato in Parlamento: serviranno cultura digitale, formazione, visione strategica e coraggio imprenditoriale. L’Italia ha fatto il primo passo, ma la strada vera inizia adesso.
